Artista da mezzo milione di streams totali su Spotify. La sua Atlanta è diventata virale su TikTok Italia, fino a entrare tra i suoni più utilizzati nella piattaforma nel 2020. Nottingham, il suo ultimo singolo, sta già ottenendo risultati importanti. Classe 2003, è nato e cresciuto a Milano da padre milanese e da madre inglese. Stiamo parlando di Alex Margiela.
Tra i profili più interessanti degli ultimi mesi, Alex sta riuscendo ad aprirsi una bella parentesi nel rap game nostrano. Con un perfetto mix di cattiveria e grinta, il ragazzo sembra avere un’identità musicale ben precisa e riconoscibile. Fattore, al giorno d’oggi, da non sottovalutare.
Alex ci ha parlato della sua carriera, ripercorrendo tutte le tappe principali, in un’intervista davvero molto interessante. Eccola.
Quando è iniziato il tuo rapporto con la musica e quando hai capito che poteva essere la tua strada?
Incomincia tutto quattro anni fa, con altri tre miei amici. Un giorno ci siamo incontrati a casa mia e, dal nulla, uno di loro aveva portato il testo di una sua canzone. Così abbiamo fatto subito il video, facendo finta di fare sul serio. Il giorno dopo avevamo già preso una decisione: “Facciamo il gruppo!”. Con il passare del tempo, tra i nostri coetanei di Milano girava già un po’ la voce. E noi avevamo percepito che c’era effettivamente qualcosa che stava andando. Alla fine, il gruppo si è sciolto dopo due anni. Da lì in poi è incominciata realmente la mia, per adesso, mini-carriera.
Come è avvenuta la svolta poi?
Io ho iniziato letteralmente da solo. Avevo postato su Instagram uno spoiler del mio primo brano, Stanza 143. Prima che uscisse però, quindi solo dopo lo spoiler, mi ha scritto in DM Giuliano Saglia, quello che ora è il mio editore. Da quel momento, Giuliano è stato un po’ il mio braccio destro, perché è grazie a lui se io ho fatto quello che ho fatto finora: è grazie a lui se ho firmato con l’Elektra Records Italia/ Warner Music Italy, se ho avuto un sacco di contatti, o la possibilità di fare un sacco di eventi.
Il passo importante poi, è stato quando Giuliano mi ha fatto conoscere Angelo Calculli, manager di MK3, agenzia milanese che collabora con diversi artisti come Achille Lauro. Ora sono davvero soddisfatto di aver firmato con loro, veramente. Mi trovo benissimo e ho tutto a disposizione: lo studio, i tecnici per i video, il fotografo, la comunicazione, i social, e fanno tutto con estrema gentilezza e disponibilità. Se prima dovevo sbattermi per registrare una canzone, ora posso andare nello studio della Warner gratuitamente, essendo un artista dell’etichetta. E lì poi vanno tutti quanti, quindi ho anche la possibilità di beccare tanti artisti di spessore.
In questo senso allora, hai avuto modo di fare una bella chiacchierata con alcuni artisti grossi in studio?
Allora, una volta ho beccato Ava. Però non ho avuto modo di parlarci, ci siamo solamente salutati. Un’altra volta ho incontrato Slait e Hell Raton e un’altra volta invece Lazza, appena tornato dalla palestra. Sono rimasto a bocca aperta. Non sapevo cosa dire, l’emozione era troppa. Con il senno di poi, penso che avrei dovuto almeno presentarmi. Invece non ho detto nulla.
A proposito di featuring internazionali…
Tra tutte le possibilità offertemi da Giuliano, c’è stata quella di un feat. con due internazionali che purtroppo non è andata avanti, ma sarebbe stata una cosa mai vista in Italia.
Hai qualche artista che tieni come punto di riferimento?
Uno di preciso sicuramente non so dirtelo. Per il genere che faccio, ultimamente Pop Smoke. Ma per quanto riguarda il messaggio, a me piace moltissimo Joyner Lucas, artista molto conosciuto in America ma molto meno in Italia. Lui ha dei contenuti davvero interessanti. Io per ora sto lavorando molto sul sound delle canzoni, però sicuramente in futuro vorrei dare più peso alle parole, come ha fatto lui. Riesce a fare canzoni aggressive, grintose, un po’ come le mie, però con un messaggio importante dietro. Soprattutto, senza ribadire i soliti stereotipi del rapper di strada: “mi fumo le canne, ti sparo, ho la pistola…”. Niente di tutto questo.
Sull’immaginario del rapper italiano di oggi…
Ci tenevo a dare una mia opinione su questo aspetto: non per forza devi fare quello che fa brutto per fare questo genere qua. In Italia, purtroppo, c’è l’idea che se fai questo tipo di canzoni, belle aggressive, devi essere un ragazzo pericoloso. Quello che deve far paura, che deve fare per forza quello di strada. Anche perché, se poi la gente non vede questo, non è contenta e dice che non ti si addice. Sembra che per fare un genere drill/trap pesante, come la faccio io, devi avere per forza una pistola in mano. In realtà, uno deve essere libero di fare ciò che vuole. Io non voglio trasmettere immagini brutte o violente. Proprio per questo nei miei testi parlo dei miei amici, di Milano, ma non parlo di pistole o altro. Nei video non ho né armi, né niente: solo una boccia in mano, che ci divertiamo. Basta.
Se dovessi definire la tua musica con tre parole, quali sceglieresti?
Prima passione, poi grinta, e dopo voglia. Perché io, a differenza di molti, lo faccio perché mi piace farlo. Non lo faccio perché voglio che la mia canzone diventi virale, o per far parlare di me. Non lo faccio per i soldi, non lo faccio per i numeri. Lo faccio perché mi piace, mi diverto e voglio farlo.
In Nottingham, dici di essere “metà italiano e metà inglese”, ribadendo le tue origini anglosassoni. Prima abbiamo visto i tuoi punti di riferimento del panorama statunitense… Hai qualcuno a cui ti ispiri nella scena italiana e inglese?
Per quanto riguarda quelli italiani, fortunatamente son tutti diversi. Spesso me lo chiedono e cambio sempre artista. Va a momenti. Musicalmente Tha Supreme è pazzesco, fortissimo. Capo Plaza è un altro musicalmente fortissimo. A livello di contenuto, quindi di scrittura, ammiro tantissimo IZI. Parlando invece del panorama inglese, il mio punto di riferimento è Stormzy. Secondo me, lui è bravo in tutto: sia cantare, quindi musicalmente, sia per quanto riguarda i testi. Ha sempre un messaggio bellissimo.
Parliamo ora di Atlanta. Come è nato il pezzo? E in particolare quella frase diventata poi virale su Tik Tok?
Allora, è un po’ imbarazzante da dire, però la frase è stata pensata. È stato tutto quanto preparato. Ho pensato: “ok, musicalmente ci siamo, i numeri ci sono, ma cos’è che va tanto in questo periodo?”. Tik tok. Tra l’altro, tre mesi prima dell’uscita del pezzo, ho inviato un messaggio vocale al mio produttore e gli ho detto: “Fra, questa frase diventa virale, te lo dico”. Dopo cinque mesi, è successo davvero. Infatti, quando ci siamo risentiti, gli ho rimandato un vocale e ci siamo messi a ridere.
Poi, altra cosa curiosa: Atlanta è stata registrata nel mio armadio, quando eravamo in quarantena. Era tutto chiuso, ma dovevamo registrare perché era da mesi che non usciva niente. Quindi l’ho registrata nell’armadio. Ovviamente all’inizio la qualità della registrazione era davvero bassa. Non ci convinceva, ecco. Ma fortunatamente, il mixer e produttore ce l’ha remixata e l’ha fatta diventare una hit.
Come hai vissuto invece la situazione Covid?
Dal punto di vista umano, l’ho vissuta un po’ male ovviamente. In famiglia si litiga, tutti quanti son messi male, tutto è chiuso… Musicalmente pure, perché anche lì era tutto chiuso. In ogni caso, è stato in qualche modo un aiuto, perché mi ha dato la possibilità di scrivere molto. Ho anche canzoni in inglese, scritte in quarantena, che nessuno ha mai sentito e che secondo me sono fortissime. Per la scrittura, quindi, è stato un periodo molto produttivo. Per il resto bruttissimo.
A proposito di canzoni in inglese…
A me viene molto più facile scrivere in inglese che in italiano. Soprattutto per il suono. Ma poi in inglese puoi parlare pure del tuo cuscino e far uscire una bomba mondiale.
Per chiudere, ci puoi svelare qualcosa del tuo futuro? Il tuo prossimo progetto?
Un EP. Stiamo lavorando su un EP. Al suo interno ci saranno due mie canzoni vecchie. Posso dire solo questo.
Uscirà nel 2021?
Si.