C’è un ragazzo che parla di strada. Vede la morte dei suoi soci. Forse troppo presto, ma la droga è una brutta bestia. E la realtà è davvero difficile. Il ragazzo ha gli ovuli in pancia, mentre lo sfondo dietro di lui è azzurro neon. Si legge una scritta: “Ragazzi Madre”. Poi c’è un altro ragazzo. È in mondovisione, sul palco dell’Ariston. Indossa una tunica, ma un certo punto si spoglia. È lo stesso che parlava di strada, ma ora gli ovuli non si vedono più. Sui led del palco compare il suo nome: Achille Lauro.
Achille ci ha sempre abituati ad una ricerca costante di temi e di suoni. La sua musica è cambiamento continuo, rivoluzione. Sappiamo come inizia, ma non come andrà a finire. Un poeta maledetto, uno degli artisti più eclettici del panorama italiano. Tutti conoscono l’Achille Lauro di adesso, ma in quanti ricordano le sue origini?
La carriera
Tutto parte dall’underground romano, dove Lauro riesce a farsi riconoscere fin da subito. Il suo rap è diverso, unico, e per questo va registrato presto in studio. Nel 2012 esce il suo primo mixtape Barabba, seguito da Harvard, entrambi prodotti per il collettivo romano Quarto Blocco. Attirando l’attenzione di un certo Noyz Narcos, Achille passa nel 2013 a Roccia Music, etichetta fondata da Shablo e Marracash.
Con loro pubblica gli album Achille Idol Immortale, Young Crazy EP e Dio c’è (acronimo di “Droga In Offerta Costi Economici”). E proprio da quest’ultimo progetto parte la trasformazione. Il disco non suona di rap tradizionale e, alla chiusura di ogni pezzo, presenta la lettura di un versetto evangelico rivisitato alla “Lauro”. Subito dopo, l’artista lascia a sorpresa Roccia Music, fonda la No Face Agency e pubblica Ragazzi madre. Il disco, pubblicato nel 2016, dà il via al sodalizio artistico con il produttore Boss Doms, poi consolidato definitivamente con l’esperienza a Pechino Express e la pubblicazione di Pour l’Amour. È forse questo l’ultimo stadio hip hop dell’artista, nel quale prevalgono sonorità classificabili come “samba trap”. Thoiry RMX per intenderci.
A questo punto, le cose cambiano ancora. Achille lascia definitivamente il rap e la trap, passando ad una musica sperimentale, un miscuglio di generi e di epoche diverse. Fino ad arrivare a Sanremo con Rolls Royce. Da qui in poi, la storia la conosciamo tutti.
«Sapete quanto io non sia mai stato interessato a seguire una logica dettata dall’industria musicale e le sue mode del momento. Ho sempre fatto la musica per il puro godimento che mi dà. Ci sto scopando. Con questo finisce la mia trilogia. È l’ultimo side project. Poi cambierà tutto. E per sempre.»
Questo è quello che ha scritto Achille sui social per annunciare 1920 – Achille Lauro & The Untouchable Band, il terzo progetto della sua trilogia che ha ripercorso prima gli anni ’70, con 1969, poi i Novanta con appunto 1990. Ecco allora cos’è la musica di Lauro: uno stravolgimento continuo.

Una street credibility messa in discussione
Ritorniamo un attimo al periodo hip hop dell’artista. Le tracce del primo Achille, tra vita disagiata e spaccio, trasudavano di verità. I bambini con la cocaina in tasca, le morti premature: tutto ci arriva in maniera limpida. Quello che non era in dubbio, nella scrittura di Lauro, era la sua street credibilty. Aspetto che però venne messo in discussione quando si scoprì che suo padre fosse, in realtà, un giudice della Corte di Cassazione. A questo punto tutti si domandavano: da dove arrivano quei testi?
Per la verità, l’artista non ha mai vissuto appieno le sue origini borghesi. Anzi. Come raccontato in diverse occasioni, si è trovato in situazioni particolari, con compagnie particolari. È chiaro quindi che si è solo limitato a descrivere e narrare delle situazioni viste da vicino. E a giudicare dalla qualità e dai dettagli forniti, forse anche troppo.
In un’intervista realizzata da Esse Magazine, in occasione dell’uscita di Ragazzi Madre, Lauro ci spiega perfettamente quest’aspetto, definendo quelle storie romanzate. E in tal senso, il rapper racconta anche divertito come gli amici gli dicano: “Oh ma quando ce li paghi i diritti di ‘sta roba?”
Insomma, se Achille ha deciso di abbandonare il rap, di sicuro non l’ha fatto per paura di aver perso credibilità. Piuttosto, sembra più un discorso di evoluzione stilistica. Concetto ribadito da queste parole:
«Proprio perché la trap ormai è ovunque, per sorprendere bisogna guardare altrove. Se un ragazzo oggi mi dicesse “voglio fare la trap”, gli direi che sta sbagliando. Per colpire nel segno non bisogna seguire il gregge.»
Ecco allora che la musica di Achille Lauro si evolve, e si evolverà ancora. Non ci sono punti fermi, ma solo occasioni per stravolgere ancor di più il tutto. Non ci sono generi, non ci sono categorie. Esiste solo una cosa: l’arte.